sabato 28 settembre 2013

Mr. D.

Ho indosso una camicia nera e tra le mani un bicchiere di vino bianco.
Non è il mio preferito, certo... ma c'era solo questo in casa ed avevo voglia di bere.
L'alcool rilassa, ti rende perfetta agli occhi del mondo, anzi no... mi correggo, ti rende perfetta ai tuoi stessi occhi. Quegli occhi così severi che trovano nella perfezione l'imperfezione di essa.
Il vino è freddo ma ancora non mi è salito al cervello.
Ero sotto la doccia prima e quella doccia mi ha ricordato quando frequentavo un ragazzo mesi fa, quel ragazzo tanto bastardo quanto fosse lungo e doppio il suo cazzo.
L'acqua mi scorreva lungo la carne fredda e pretendeva di riscaldarsi man mano che restavo li, immobile nei miei pensieri, col bagnoschiuma in una mano e la nudità da lavare.
Mi è stato impossibile non soffocare in quei pensieri.
Il suo nome è D. , qualche anno in meno a me, ok si... aveva quasi 4 anni in meno a me.
Appena diplomato forse, lo conoscevo così poco...
20 anni, tanto bastavano per dar retta agli instinti. A me non importava.
All'inizio provavo fastidio solo nel vederlo, non era neppure così bello come pensava di essere eppure usava parole così dure e crude che il solo sentirlo parlare o leggerlo quando si cimentava in post filosofici post-moderni, mi rendeva le cosce umide.
Era sfacciato tanto da permettergli di fargli capire che con me poteva andare oltre le chiacchiere e spingere laddove desiderava.
D. era un soldato, il peggiore dei soldati forse, eppure quella divisa gli stava dannatamente bene addosso.
Lascio scorrere altro vino in me prima di continuare a ricordare, ne ho bisogno.
La divisa da militare, quella mimetica che gli rendeva le spalle più grosse, era come un afrodisiaco per me.
Quel giorno lui era appena ritornato a casa ed io ero sola nel mio lurido ufficio.
Erano quattro anni che lavoravo nell'esercito per pagarmi da vivere e per far contento mio padre che desiderava a tutti i costi una figlia militare come lui.
Odiavo quel posto, odiavo ogni singola cosa di esso, dalle mura schifosissimamente bianche e sporche, alle stanze in comune, al bagno turco fino alla gente che lo abitava.
Prepotente e con quella voce alta che finiva solo col perforarti i timpani di un fastidio incoscio che non voleva andare via.
Lo odiavo talmente tanto che dopo 3 anni di volontariato e due lauree ...ottenni una promozione.
Superai numerosi concorsi, tra strizzate di mano e strizzate di tette, diventai tenente... a poco più di 25 anni.
Quel giorno lo vidi entrare sicuro nel mio ufficio, prima gli anfibi, poi la mimetica, poi quella sua faccia da culo sinonimo di chi non ha paura di niente ma ha tutte le intenzioni di ottenere qualcosa.
"Danny! Sono le 12.30 dovresti essere fuori a spaccarti le spalle con le flessioni non nel mio ufficio"
Fui capace di dirgli solo questo restando ferma al mio posto, il computer acceso e le dita impegnate a digitare l'ennesima mail a chissà chi su chissà cosa.
" Fermati ed impegna quelle mani in altro modo Rebekah"
La voce di D. era sicura, calda, feriva tanto che era arrogante e non mi venne niente altro in mente se non alzare gli occhi dal pc e fissarlo.
Quel cazzo di ghigno, era atroce.
" Se non ricordo male sono il tuo tenente e come tale ti ordino, letteralmente, di uscire dal mio ufficio e renderti utile in quale modo in questa fottutissima caserma."
La mia risposta arrivava sicura ma trapelava il terrore di aver sbagliato in qualcosa, magari nel tono, magari nelle intenzioni, io non volevo che lui andasse via e lui questo lo sapeva.
Si avvicinò a me facendo schioccare la lingua nelle perfette intenzioni di chi sa esattamente quello che fa, quello che vuole e come lo vuole.
Non chiese altro con la voce, smise di usarla in quel momento.
Si avvicinò alla mia scrivania accostandomi, spostò la sedia girevole e mi spalancò le gambe senza chiedere il permesso.
Le mani bollenti affondarono nella carne, coperta dalla mia divisa, la bruciarono quasi, le sentivo... su di me, premere ed arrossarmi le carni.
Mi ritrovai con le mani a penzoloni e le gambe aperte.
Fu mia intenzione accertarmi prima della posizione che D. mi aveva fatto assumere prima di alzare lo sguardo ed incrociare quegli occhi grigi sadici e prepotenti.
"Cosa stai facendo?" Sibillai tra i denti lasciando intendere quel tono un po' infastidito e un po' malizioso di chi voleva esattamente quella situazione ma doveva combattere con la propria deontologia.
"Voglio che ti scopi"
Mi rispose semplicemente così. Senza distogliere lo sguardo da me, senza toccare altro se non le mie gambe che teneva ben serrate nella sua morsa tanto da farmi male.
Non ebbi il coraggio di rispondere perché se solo avesse avuto l'astuzia di infilare una mano nel pantalone e superare gli slip avrebbe capito quanto bagnata fossi in quel momento... e non esisteva risposta migliore di quella.
Accennò un mezzo sorriso come a costringermi a reagire ma appurato che in quel momento l'unica reazione che avevo era nascosta tra le mie cosce, intuì che era meglio ottenere con la forza quello che voleva.
Mi slacciò i pantaloni lasciandoli cadere a terra velocemente, il suono sordo del tessuto a contatto col pavimento lurido risuonò nella mia testa come l'esplosione di una bomba nucleare quando in realtà era tutto così dannatamente silenzioso da far spavento.
Nessuno sapeva di noi, li dentro, nessuno se non noi.
Mi lasciò su quella sedia con le gambe aperte e gli slip esposti.
Gli bastò dare un'occhiata per accorgersi che qualcosa aveva provocato in me.
Alzò gli occhi al cielo ed accennò una mezza risata, si portò la lingua sul labbro superiore con fare accusatorio.
"Volevi che andassi via vero? Lo vedo. Sei bagnata e lurida... Rebekah."
La voce mi stuprò le orecchie, quando pronunciava il mio nome lo faceva usando quel tono così lento e pieno da sentirmelo perforare e violarmi la pancia.
Ancora una volta non sapevo cosa dire, ed ancora una volta ammutolii di fronte a lui.
Ero il suo cazzo di Tenente per quale motivo non riuscivo a farmi rispettare?
Forse perché lo volevo, no aspettate, togliamoci il "forse, lo volevo e basta.
Io volevo tutto questo, lo desideravo e non chiedevo altro. Volevo che lui esagerasse e lo supplicavo con gli occhi, lo imploravo di farmi del male, di scoparmi fino a farmelo sentire in gola.
Cristo. Lo volevo. Adesso.
Allungai una mano e lentamente la feci scorrere lungo la pancia stuzzicando l'elastico degli slip neri.
D. mi guardava, mi assaporava, godeva di me eppure non avevo ancora iniziato a far nulla.
Si slacciò i pantaloni e li lasciò cadere scoprendo un boxer grigio gonfio, pieno, enorme.
Istintivamente alzai un sopracciglio felice di assistere a quella reazione.
Era mio, voleva me. Ed io volevo lui, dentro di me.
Si accarezzò il rigonfiamento e sapeva perfettamente che odiavo vedere quell'erezione intrappolata nel tessuto.
Lasciò scivolare via, lungo le gambe muscolose, i boxer mostrandomi la prepotenza di quella voglia.
Dio. Era così doppio, lungo. Invidiabile.
Rosa come la carne e doppio quasi 3 dita.
In quel momento avrei voluto afferrarlo in una mano, stringerlo forte ed assaporarlo tutto, lasciandolo scorrere giù nella gola e sotto il palato.
Facendo in modo che la lingua giocasse, si divertisse, con lui che non chiedeva altro di essere soddisfatto, stimolato, succhiato fino a svuotarsi.
Ma non rientrava nei piani, o meglio... non rientrava negli ordini dettati da D.
"Scopati"
Ripetè ancora una volta, serio e severo.
Afferrai con entrambe le mani i miei slip e lasciai che scivolassero via lungo le gambe raggiungendo il pantalone della mimetica.
Adesso ero esposta, aperta e bagnata, per lui, con lui.
L'immagine che D. aveva di me era di una donna in canotta nera e senza mutande, con le gambe aperte e fottutamente bagnata.
Potevo sentire gli umori colare tra le cosce e ricadere sulla sedia di pelle che mi ospitava.
Lui davanti a me, aveva ancora indosso la giacca della divisa e i pantaloni con i boxer raccolti ai proprio piedi, supplichevoli e spettatori.
Portai una mano all'interno coscia e passai un dito all'interno della vagina aprendo le labbra...
Cazzo, sapevo di essere bagnata ma non così viscidamente zuppa.
Aveva ragione, D. aveva sempre ragione.
Ero lurida.
Aggiunsi un altro dito a quelle carezze e ben presto mi ritrovai gonfia a fare movimenti circolari sul clitoride.
Cristo se mi piaceva.
Lui davanti a me aveva preso a toccarsi, il cazzo, che prima era solo gonfio, ora era eretto a tal punto da poter strappare la pelle.
Mi piaceva, significava che era eccitato da quella visione.
Dalla visione di me, a gambe aperte che mi toccavo per lui, grondando liquidi tra le cosce come la peggiore delle ninfomani, nel mio ufficio.
Inarcai la testa all'indietro, mordendomi il labbro inferiore, mentre le mani si incollarono dei miei stessi umori.
Gemetti piano, la paura di farmi sentire era troppa per non considerarla.
Nel momento nel quale rialzai la testa ebbi solo il tempo di vedere D. abbassarsi un secondo per recuperare qualcosa che mi ritrovai con la pistola di servizio sotto al mento.
" Ora tu ti scopi come la peggiore delle troie e mi fai vedere come viene una che brama solo il mio cazzo"
Mi disse lasciandomi sentire il freddo del ferro della sua pistola all'altezza del collo.
Mi fermai un attimo, spaventata da quella reazione eppure... eppure il cuore batteva dalla voglia ancora più di prima.
L'idea del pericolo, la sua pistola sotto al mio mento, le mie cosce aperte. Il suo cazzo eretto verso di me ed io, aperta e bagnata masturbarmi per lui... era tutto così eccitante.
Lanciai un'occhiata all'arma e tornai a guardarlo con aria di sfida, stavolta avrebbe avuto davanti a sé una donna sottomessa ma forte, una donna sprezzante del pericolo con la voglia di godere, per lui, con lui.
Ghignai sicura ma terrorizzata e questo lui lo capì all'istante.
Sorrise di rimando e la mossa seguente fu caricare la pistola.
Poggiò il dito sul grilletto, la pistola era carica, mi avrebbe sparato da un momento all'altro se solo non avessi fatto quello che voleva.
"Vieni o ti faccio saltare in aria il cervello"
Quella voce, ancora una volta, stavolta era più dura, più severa, arrogante, pessima... eccitante.
" Chissà come è sborrare sulle tue budella Rebekah" continuò imperterrito mentre l'altra mano torturava quel cazzo ormai viola e gonfio, pronto ad esplodere.
Mi sentivo completamente in balia di lui, persa, fottuta.
Mossi velocemente le dita stimolando il clitoride più che potevo.
Alla sensazione iniziale di fastidio e prurito si aggiunse una piacevole sensazione di gonfiore e calore che pretendeva solo di più. Più movimento, più velocità, più pressione.
Inizia a muovere le dita freneticamente in modo circolare masturbandomi più che potevo nella speranza di venire prima di quello che lui desiderava. Non volevo deluderlo e non volevo che il mio cervello saltasse in aria.
Mi toccavo e godevo, sentivo la pistola sul mio collo e vedevo lui menarselo come un dannato su di me, godere e gemere. Stringeva gli occhi e serrava la bocca soffocando i gemiti mentre io mi torturavo bagnandomi le mani di quella colla filante che erano i miei umori.
Tolsi per un attimo la mano dalla mai vagina, ormai viola e gonfia, e mi portai due dita alla bocca leccandole...
Era mia intenzione compiacerlo ma non feci altro che peggiorare le cose.
Spostò la pistola dal mio collo alle mie labbra e in secondo mi ritrovai la canna fredda nella bocca.
Il ferro della pistola mi graffiava i denti e, seppure fossi terrorizzata all'idea che potesse uccidermi da un momento all'altro, non potetti fare a meno di immaginarmi il suo cazzo al posto della pistola. Nella mia bocca, caldo e gonfio.
Può sembrare assurdo ma desideravo quella situazione e mi piaceva così tanto da supplicarlo di non smettere mai ma la sua erezione chiedeva solo di essere liberata.
" Non ti ho ordinato di leccarti le tue cazzo di dita!"
Mi disse severo, ordinandomi di non provarci mai più.
"Voglio solo che vieni e se non ti è bastata la pistola al collo ora abbi il terrore che ti sfracelli la bocca." continuò sicuro e sadico.
"Scopati e vieni. Voglio che vieni o ti uccido Rebekah." concluse continuando a torturarsi il cazzo che a tratti lasciava fuoriuscire del liquido trasparente.
Non era mia intenzione farglielo ripetere due volte, né era mia intenzione deluderlo.
Continuai ancora più velocemente lasciando che il mio rossore esplodesse in un orgasmo talmente forte da farmi tremare su quella sedia di pelle.
Intorno a me non udivo più niente, neppure il rumore della sua mano sul proprio membro, o la pistola fredda nella mia bocca.
Ero solo sua e in quel momento mi aveva donato l'orgasmo migliore del mondo.
Pulsai a ritmo frenetico, incontrollato.
La pistola era ancora tra le mie labbra e la tenevo bloccata coi denti quasi spaventata che potesse andare via. Mi piaceva.
Pulsai ancora, le contrazioni erano infinite e lui le vedeva.
Era tutto davanti a lui, io a cosce aperte che venivo per lui e lui che non esitò un istante a sborrare a terra lasciandosi andare in un grugnito sordo ed animale.
Il cuore uscì dal petto ed andò a ringraziarlo mentre il mio corpo ricadeva, sulla sedia nera di pelle, tremante e caldo.
Mi afferrò velocemente la testa prendendomi alla nuca e mi portò sul membro viola e colante.
"Pulisci" disse semplicemente.
Tirai fuori la lingua e leccai tutto l'eccesso sentendo l'erezione venire meno sotto il palato.
Una chiazza di sperma bianco a terra moriva liquefandosi mentre lui tirava su boxer e pantaloni ed infilando di nuovo la pistola nella fondina.
Mi sorrise e non ringraziò.
Mi voltò le spalle dirigendosi verso la porta.
Io ero ancora li a gambe aperte, quasi dolorante, col cuore a mille e la voglia di sentirlo dentro.
Era entrato nel mio ufficio solo per se stesso, per godere e venire. Per gonfiarsi e provocarsi piacere ed io ero solo il suo porno, la sua bambola.
Ma non ne fregava un cazzo, quell'idea di me mi piaceva ed amavo il suo modo di fare.
" Vado a spaccarmi le spalle con le flessioni tenente"
Disse prima di aprire la porta e lasciarmi sola nel mio ufficio, con le mie mail.


Rebekah Lee

1 commenti:

Eva Black ha detto...

E' una storia bellissima <3
Mi piace un sacco come scrivi!


Eva Black

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